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La strage
La mattina del 2 aprile 1985 un boato scuote fino alle viscere la città di Trapani. Si pensa ad un terremoto e, per certi versi, un terremoto ci fu: un terremoto di mafia che sconvolse un’intera città e che dopo 36 anni continua ad echeggiare sulla strada provinciale che collega la costa di Pizzolungo a Trapani. In quella che da allora viene ricordata come “strage di Pizzolungo” rimasero uccisi Barbara Rizzo, Giuseppe Asta e Salvatore Asta.

Quella mattina, sulla strada provinciale che collega Trapani a Pizzolungo, un’auto imbottita di tritolo stava aspettando la Fiat Ritmo al bordo della quale si trovava il magistrato della Procura di Trapani Carlo Palermo e gli agenti della sua scorta. Davanti all’auto del magistrato, viaggiava la Volkswagen con a bordo Barbara Rizzo e i suoi gemellini di 6 anni, Salvatore e Giuseppe Asta. L’auto di Palermo stava superando la Volkswagen, uscendo dal raggio d’azione dei killer. Nonostante il sorpasso, l’autobomba venne fatta esplodere, investendo in pieno la famiglia Asta che finì per fare da scudo al Magistrato.
Di Barbara, Giuseppe e Salvatore non rimane niente, i corpi furono polverizzati dall’onda d’urto.

Nel suo libro “La Bestia”, Carlo Palermo racconta: “Sulla destra, nella strada, c’è una voragine di metri. Vedo per terra piccoli frammenti di lamiera di altri colori. Un flash nella mente mi fa muovere di scatto la testa. Le altre macchine? Dove sono?
Scomparse. Mi giro attorno. Vedo tutto offuscato. Una macchia rossa in alto sulla parete di una casa richiama la mia attenzione. Mi avvicino. C’è un cancello, chiuso. All’interno, per terra, in corrispondenza della macchia in alto, piccoli resti… di un bimbo… di un elastico… fogli svolazzanti di libri di scuola”.

Barbara Rizzo, Giuseppe Asta e Salvatore Asta non morirono per errore, non si trovavano semplicemente nel posto sbagliato al momento sbagliato: pur di assassinare l’odiato magistrato, Cosa Nostra decise deliberatamente di coinvolgerli.

Ma chi era Carlo Palermo e perchè doveva morire ?
Il magistrato Carlo Palermo arrivò a Trapani da Trento per ricoprire il posto lasciato vacante da un altro collega: Giangiacomo Ciaccio Montalto, vittima di mafia, assassinato nel 1983 in uno di quelli che passarono alla storia come gli “omicidi eccellenti” che macchiarono di sangue gli anni tra il 1970 e il 1993.

Sia Palermo che Montalto indagavano sui traffici di droga che collegavano Trento e la Sicilia. A Trento, le inchieste del magistrato Palermo lo avevano portato a collegare diversi casi irrisolti legati ai traffici internazionali di armi e stupefacenti, facendolo giungere alla conclusione per cui Trento rappresentasse l’anello di congiunzione della catena mafiosa che si estendeva dalla Turchia alla Sicilia. Malgrado un’attività giudiziaria lunga più di 35 anni, sulla vicenda della strage di Pizzolungo restano ancora non pochi nodi irrisolti.

In primo luogo, risultano oscuri numerosi elementi relativi alle modalità dell’attentato: il magistrato, giunto a Trapani da troppo poco per avere effettivamente “disturbato” le attività mafiose locali. Difatti, a riguardo, venne ipotizzato che alla base dell’attentato vi fosse l’intento di “fare un favore a qualcuno”.

Sulla vicenda, in occasione dell’ultimo processo conclusosi nel novembre del 2020 e che vide condannato all’ergastolo il boss mafioso Vincenzo Galatolo, il Pm titolare Paci sottolineò: “nonostante sia il quarto processo sulla strage, ritengo ci sia ancora molto da approfondire” e “le indagini che si devono necessariamente svolgere dovranno chiarire cosa c’è realmente dietro a questa Strage che resta una delle più misteriose all’interno della storia criminale di Cosa Nostra”.

Sarà inoltre lo stesso Palermo a sollevare dei sospetti sul reale mandante della strage: “Per questa strage io non mi do pace da 35 anni perché non è stata fatta giustizia. Perché i giudici che vi indagano hanno timore a parlarmi, perché io “parlo” a differenza dei morti ammazzati e quindi non si può dire qualsiasi cosa e perché – le assicuro – in quell’episodio la mafia ha costituito solo braccio esecutivo e la massoneria mandante. Glielo assicuro e questo verrà accertato. Lo ricordi”.

Cinque anni dopo l’attentato, il giudice Palermo venne dispensato dal servizio per i danni subiti nello stesso.

Il movente
Il movente individuato dai giudici sembra indicare che la strage mirasse a fermare definitivamente le indagini del magistrato, che si stavano dirigendo pericolosamente verso una raffineria di eroina di Alcamo.

Tuttavia, in una prospettiva più ampia, la strage di Pizzolungo si colloca all’interno del piano stragista dell’ala corleonese di Cosa Nostra elaborata da Totò Riina e dalle famiglie palermitane a esso alleate, tra le quali la famiglia Brusca, la famiglia Gambino e la famiglia Madonia.

I Corleonesi, infatti, miravano ad ottenere il pieno controllo sul territorio e sugli affari, ponendosi in netta opposizione con lo Stato. I loro erano fini di tipo totalitario: disporre senza limiti dell’amministrazione pubblica vincolando all’“ubbidienza” i politici legati a Cosa Nostra.

L’eliminazione degli uomini dello Stato che rifiutavano il tradizionale atteggiamento di “convivenza con la mafia” avveniva al duplice scopo di dissuadere dal seguirne l’esempio e per indurre lo Stato a venire a patti con Cosa nostra.

Dall’altro lato della barricata, i magistrati fedeli alla causa della giustizia venivano ostacolati dai loro stessi colleghi, vivendo – nella maggior parte dei casi – in un clima di ostruzionismo ed isolamento.

Dalle stesse dichiarazioni del giudice Palermo: “Per questa strage io non mi do pace da 35 anni perché non è stata fatta giustizia. A Trapani non mi volevano prima, non mi vollero allora (quando vi svolsi l’attività di giudice), non mi vogliono ora. (…) A Trapani, ove ho risieduto nel Palazzo di Giustizia (Via 30 gennaio, come risulta scritta la mia residenza anche sulla patente che conservo ancora), non sono mai stato invitato (…). I giudici di Caltanisetta (e taccio di altri) non sono venuti a Trento per vedere le mie
carte e documenti se non quando li ho chiamati io formalmente e i miei verbali sono stati secretati e non prodotti nemmeno nel recentissimo processo su Galatolo (non dimentichiamo già condannato per l’omicidio del generale Dalla Chiesa durante le mie indagini da Trento)(…).
Tornerò presto in quel Palazzo. Sono stato lì poco tempo. Ma sono rimasto
affezionato a quel luogo e ai trapanesi che mi vogliono bene. “Tornerò e ringrazio il sindaco Giacomo Tranchida. E spero che questa volta mi farà “parlare” a Trapani”.

Storia processuale
Il primo processo per la strage di Pizzolungo si tenne nel 1987 e vide imputati quali esecutori materiali dell’attentato del 2 aprile 1985 Vincenzo Milazzo, Gioacchino Calabrò e Filippo Melodia, tutti condannati all’ergastolo per strage.

Nel 1989 la sentenza venne ribaltata in Corte d’Appello, dove il giudice Gaetano Costanza emanò una sentenza di assoluzione nei confronti di tutti gli imputati. L’assoluzione venne confermata nel 1991 in Cassazione, dove la Corte, presieduta da Corrado Carnevale (soprannominato dai giornali “l’ammazzasentenze”, indagato e successivamente assolto per concorso esterno in associazione mafiosa”), confermò il giudizio di appello.
In merito alla pronuncia in Cassazione, il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca affermò: “quella sentenza fu aggiustata”.

Il 22 Novembre del 2002 si aprì il secondo processo sulla strage di Pizzolungo dove, grazie all’apporto dei collaboratori di giustizia – tra cui Giovan Battista Ferrante – vennero condannati all’ergastolo Totò Riina e Vincenzo Virga, riconosciuti come mandanti. Lo stesso Ferrante rivelerà, inoltre, il ruolo di primo piano assunto da Antonino Madonia nella strage.

Nel 2003 si tenne il terzo processo, che vide condannati all’ergastolo Antonino Madonia e Baldassare DI Maggio. Sugli imputati, il Pm Luca De Ninis nella sua requisitoria ricostruisce “Antonino Madonia è un personaggio di vertice dell’organizzazione, con una particolare esperienza nella predisposizione dei telecomandi e degli ordigni insieme a Di Maggio, che aveva il compito specifico di procurare e fornire agli esecutori materiali
l’esplosivo con il quale è stato realizzato l’attentato. Questi due imputati, Madonia e di Maggio, fungevano più specificatamente da raccordo e da collegamento tra le decisioni dei corleonesi e della cupola e l’esecuzione materiale affidata alle cellule del trapanese”.

L’ultima cronaca giudiziaria risale allo scorso 13 Novembre quando, a 35 anni di distanza dalla strage di Pizzolungo, a Caltanissetta viene riconosciuto come mandante e condannato a 30 anni di carcere Vincenzo Galatolo (boss dell’Acquasanta di Palermo e già da tempo in carcere per ulteriori omicidi eccellenti, tra i quali quello del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa).

Fondamentale ai fini della condanna risulta l’apporto conoscitivo della figlia, Giovanna Galatolo, la quale ribellandosi all’ambiente dove era cresciuta, ha deciso di deporre in aula contro il padre.

Affinché della strage di Pizzolungo non rimanga soltanto un ricordo mitizzato dalla storia, ma un’evidenza tangibile nella sua drammaticità, l’amministrazione comunale di Trapani ha proposto di recuperare i resti dell’auto del giudice Palermo, che da 36 anni giacciono tra i rifiuti cittadini, e posizionarli (su indicazione dello stesso ex Magistrato) dinanzi il palazzo di Giustizia di Trapani.
In merito all’opportunità di tale progetto il magistrato Palermo ha dichiarato: “quella strage non fece solo vittime a caso colpendo e distruggendo una famiglia a Pizzolungo e per la prima volta una mamma e due bambini; colpì e distrusse anche me (…) io e la scorta, io e la mia attività di giudice sono finite lì.
I resti di quella macchina – che comunque mi ha protetto consentendomi di
sopravvivere e di cercare la verità una vita intera – ricordano qualcosa di diverso rispetto a chi per caso rimase drammaticamente vittima: quei resti rappresentano me e la mia scorta, lo Stato, il giudice che ero (e non sono stato più), la verità fermata, le ombre della massoneria e dei Servizi…. oltre la mafia. Ecco perché è giusto che quella macchina venga piazzata da qualche posto e osservata bene. Fotografa e rappresenta la realtà.
Io tra poco (…) me ne andrò. I miei lamenti cesseranno. E allora quella macchina distrutta rimarrà l’unica fotografia reale idonea a ricordare adeguatamente e nella sua concretezza la realtà e la verità sinora mancata”.

Ricordare è un dovere civile, che significa commemorare coloro che non abbiamo saputo salvare, ma anche e soprattutto combattere, pure nel nostro piccolo, la lotta alla mafia che da loro abbiamo ereditato.
Oltre a ricordare, abbiamo il dovere di ricercare la giustizia. E noi trapanesi, a distanza di 36 anni, continuiamo a chiedere che venga fatta luce sulle verità che ancora oggi si celano dietro quella macchia di sangue che Cosa Nostra ha impresso sui muri di Pizzolungo.

“Il ricordo oggi lo si compie pensando e progettando le cose migliori già per domani”.
(Margherita Asta).

Francesca Strazzera e Luciano D’Angelo

Fonti
– http://www.linformazione.eu/2018/12/la-bestia-carlo-palermo-racconta-il-quarto-livello/
– https://it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_Pizzolungo
– https://lavialibera.libera.it/itschede-284strage_pizzolungo_margherita_asta_senten za_condanna
– https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/11/13/strage-di-pizzolungo-30-anni-al-boss-galatolo-il-pm-ancora-molto-da-approfondire/6002944/
– https://www.tp24.it/2021/01/20/antimafia/strage-di-pizzolungo-il-nbsp-giudice-palermo-installate-nbsp-l-auto-distrutta-al-palazzo-di-giustizia-di-trapani/159227
– https://www.antimafiaduemila.com/home/primo-piano/73982-strage-pizzolungo-la-verita-e-ancora-lontana.html
– https://www.antimafiaduemila.com/home/primo-piano/78282-pizzolungo-tra-frammenti-di-verita-una-strage-ancora-avvolta-nel-mistero.html
– https://www.antimafiaduemila.com/home/di-la-tua/237-vedi/78277-il-botto-di-pizzolungo.html
– https://www.antimafiaduemila.com/home/primo-piano/54442-i-processi-sofferti-per-la-strage-di-pizzolungo.html
– https://www.antimafiaduemila.com/rubriche/giorgio-bongiovanni/59602-dietro-la-strage-di-pizzolungo.html

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